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G. Dorè: Astolfo sulla Luna |
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Nelle mani di Astolfo finiscono i più importanti oggetti magici del
poema, compreso l’ippogrifo. Il paladino gode anche della protezione di
S. Giovanni Evangelista e quindi riesce a scendere all’inferno, ad
inoltrarsi nel paradiso terrestre e raggiunge infine la Luna, dove
ritrova la ragione perduta di Orlando. “Tutta la sfera varcano del fuoco,
ed indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la più parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ciò ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:
che quel paese appresso era sì grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e 'l mar ch'intorno spande,
discerner vuol; che non avendo luce,
l'imagin lor poco alta si conduce.
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
sono là su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le più magne
non vide il paladin prima né poi:
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve”.
(C. XXXIV, 70-72)
Nella
Luna l’insieme di sogni, desideri, speranze di cui è fatta la nostra
vita sembra svanire. Tutte le cose vane che gli uomini perseguono nella
ricerca della felicità sono accumulate lassù e rivelano la loro essenza
labile e inconsistente. Il cervello, quello che più spesso l’uomo
smarrisce, è raccolto in un monte di ampolle, ciascuna con nome e
cognome. La Luna, dunque, attraverso gli occhi di Astolfo, è
presentata come un mondo diverso, ma del tutto paragonabile a quello
terreno (“Altri fiumi, altri laghi, altre campagne […] altri piani,
altre valli, altre montagne…”). La Luna si rivela del tutto speculare e
complementare alla Terra: ciò che si perde sulla Terra si raduna nel
vallone lunare, che diventa l’immagine in negativo della vita umana, il
luogo dove si deposita ciò che l’uomo smarrisce, consuma, spreca per
opera del destino, del tempo e della propria follia.
Ariosto
sembra dirci che tutto ciò che è oggetto del desiderio, che induce gli
uomini ad affrontare imprese, si riduce a mucchi di rifiuti ammassati
nel vallone della Luna, come testimonianza dell’inutilità e della
dispersione. Il viaggio di Astolfo fa sì che le vicende di Orlando
divengano simbolo della vita umana, sottomessa ai desideri e alle
passioni. Solo della follia c’è mancanza sulla Luna e abbondanza invece
sulla Terra, e per questo la Luna è al contrario colma del senno
perduto dagli uomini, senza nemmeno che essi ne siano consapevoli o si
spingano agli estremi di pazzia di Orlando. Ariosto elenca varie forme
di follia, soffermandosi sulla mancanza di ragione dei poeti, pazzi
tutti perché raccontano il fantastico e il meraviglioso:
“Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de’ signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
et altri in altro che più d’altro aprezze.
Di sofisti e d’astrologi raccolto,
e di poeti ancor ve n’era molto”.
E
anche Astolfo scopre di essere privo di parte del suo senno, conservato
in una piccola ampolla proprio lì sulla Luna. Ariosto glielo fa
recuperare, ma con ironia precisa che di lì a poco per un “errore” lo
perderà di nuovo.
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