Nel 1527 gli Ariosto procedettero alla divisione del patrimonio: la “magna domus”
di via Santa Maria di Bocche venne assegnata a Gabriele, Alessandro e
Galasso, fratelli del poeta; accanto ad essa, Nicolò Ariosto ne aveva
costruita un’altra, che toccò a Ludovico, che però la abitò solo per
brevi periodi, preferendole la “parva” di contrada Mirasole, acquistata
nel 1526. Sorgeva a settentrione di
Ferrara, dove gli ancor pochi palazzi erano circondati da parchi e
giardini, lontani dai rumori e prossimi alla campagna. Da qui,
invecchiando, Ariosto guardò la storia che continuava a svolgersi, ma
che ormai gli appariva lontana, estranea alla quiete della sua casa e
della sua poesia, distante forse come Astolfo che guardava la Terra
dalla Luna, comprendendone solo così il senso più intimo e segreto.
“Parva sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non sordida, parta meo sed tamen aere domus”.
L’iscrizione
in facciata, divenuta celebre al punto da identificare la dimora
ariostesca come “Parva Domus”, non è di mano del poeta ma probabilmente
di quel Bartolomeo Cavalieri, cortigiano di Ercole I, che la costruì,
in forme più modeste, non molti anni prima. Venne ugualmente
lasciata da Ludovico perché capace di sintetizzare la sua concezione
della vita, fatta di quiete, di libertà, di affetti sicuri. Per quanto
ristrutturata e ingrandita nell’anno successivo all’acquisto, la
casetta rimase infatti un edificio modesto, semplice e severo, a due
soli piani.
In
quel periodo, Ariosto comprò anche un’altra casa, posta sull’attuale
Corso Porta Po, nonchè il terreno tra le due dimore, formando così un
possedimento unitario che ingrandì man mano con altri piccoli
appezzamenti e che adibì a orto e giardino, al quale fino alla morte
dedicò cure assidue. A breve distanza sorgeva allora la chiesa di
S. Benedetto. Ancora viva nel quartiere è la tradizione di passare in
corteo dall’uscita dell’orto su Corso Porta Po, come face il corteo che
accompagnò in S. Benedetto la salma di Ludovico nel giorno del suo
funerale.
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