Forse dalla piccola officina d’armi della Cittadella di Reggio che
visitò da bambino venne all’Ariosto l’ispirazione per la fucina di
Vulcano: “… spelunca affumicata dove
battea all’incude i folgori di Giove”
(C. II, 8)
o
per la descrizione dell’arma spaventosa di Cimosco, re di Frisia, che
trasformò l’arte della guerra mettendo fine alle imprese dei cavalieri:
l’archibugio,
“un ferro bugio lungo da dua braccia
dentro a cui polve ed una palla caccia
[...]
onde vien con tal suon la palla esclusa
che si può dir che tuona e che balena;
né men che soglia il fulmine, ove passa,
ciò che tocca arde, abatte, apre e fracassa”
(C. IX, 28-29)
Orlando
non ha esitazioni: compresone il funesto potere, scaglia l’archibugio
negli abissi del mare, dove resterà per alcuni secoli, finché,
attraverso le magie di un negromante, il diavolo non lo farà riapparire.
Così, tramite Orlando, Ariosto salvava il suo mondo dall’introduzione
di infernali ordigni bellici. Anche la guerra, del resto, nel Furioso è
questione cavalleresca: non può concludersi con la sconfitta di un
esercito, ma con uno scontro tra i capi. Agramante sfida dunque Orlando
e con Sobrino e Gradasso si batterà a Lipadusa contro tre cavalieri
cristiani. Orlando accetta con al fianco Oliviero e Brandimarte.
Nella
realtà, però, l’artiglieria aveva già da tempo trionfato nelle guerre
italiane ed europee e il poeta si chiedeva, indignato, come e perché
una tale invenzione fosse nata dal cuore umano:
“Come trovasti, o scelerata e brutta
invenzion, mai loco in uman core?
Per te la militar gloria è distrutta,
per te il mestier de l’arme è senza onore;
per te è il valore e la virtù ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non più la gagliardia, non più l’ardire
per te può in campo al paragon venire.
Per te son giti ed anderan sotterra
tanti signori e cavallieri tanti,
prima che sia finita questa guerra(1),
che ‘l mondo, ma più Italia, ha messo in pianti;
che s’io v’ho detto, il detto mio non erra,
che ben fu il più crudele e il più di quanti
mai furo al mondo ingegni empi e maligni
ch’imaginò sì abominosi ordigni”.
(C. XI, 26-27)
(1) Si tratta della guerra tra Carlo V e Francesco I per il predominio europeo
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