Un’immagine splendente attraversa il poema, come un sogno: è la
bellezza che lega ad Angelica i cavalieri, che la inseguono e duellano
per lei che, come magia, fugge o scompare, un miraggio che appare e
svanisce alternando fascino e delusione. La bellezza è una delle note dominanti del poema, ora come premio per il vincitore, ora come suscitatrice di malinconia.
La sua importanza è sottolineata dal fatto che alla bellezza -
“l’allegra faccia” e “le delicate membra” - è legata persino la prima
immagine di Alcina, nonostante Ariosto insista sulla sua malvagità: la
vediamo sulla riva del mare intenta ad incantare i pesci con le sue
parole, ne sono descritti i “modi graziosi e riverenti” con cui si
rivolge ai paladini nell’invitarli a seguirla nelle sue stanze per
vedere le meraviglie che conserva.
Ma lasciamo che sia l’Ariosto stesso a parlarci; siamo all’inizio del poema.
"Nata pochi dì inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean per la bellezza rara
d'amoroso disio l'animo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea l'aiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n'era,
tolse, e diè in mano al duca di Bavera;
in premio promettendola a quel d'essi,
ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,
degl'infideli più copia uccidessi,
e di sua man prestasse opra più grata."
(C. I, 8-9)
[…]
La verginella è simile alla rosa,
ch'in bel giardin su la nativa spina
mentre sola e sicura si riposa,
né gregge né pastor se le avvicina;
l'aura soave e l'alba rugiadosa,
l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
gioveni vaghi e donne inamorate
amano averne e seni e tempie ornate.
Ma non sì tosto dal materno stelo
rimossa viene e dal suo ceppo verde,
che quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia e bellezza, tutto perde.
(C. I, 42-43)
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