Ai limiti del Ducato, in un territorio aspro e inospitale, si stendeva la grande valle della Garfagnana, abitata da popolazioni facili alla ribellione.
Alla morte di Leone X, alla fine del 1521, Castelnuovo si era rivoltato contro i Medici e aveva richiesto al duca d’Este un governatore che riuscisse ad aver ragione dei briganti e delle lotte sanguinose tra le famiglie.
Venne scelto l’Ariosto, che si ritrovò così in una terra selvaggia con l’incarico di riportarvi e farvi rispettare la legge e l’ordine. Il poeta partì da Ferrara alla metà di febbraio del 1522, lasciandovi il cuore.
Prende alloggio con pochi armati nella torre – pare quella di mezzogiorno – della fortezza che oggi è la Rocca Ariostea, posta su uno sperone di roccia a strapiombo sulla vallata.
Lo attesero momenti difficili, che cercò di risolvere soprattutto con le armi dell’astuzia e della diplomazia, ma anche con decisione. Più volte provò infatti a scuotere il Duca estense dall’immobilità della sua politica, proponendo invano milizie civiche, taglie e impiego di battaglioni di armati. Non gli restò che concludere amaramente: “Questa provincia anderà di male in peggio et a vostra excellentia non resterà altro che il titolo di esserne signore, ché la signoria in effetto sarà di questi assassini…”.
Del soggiorno in Garfagnana scriverà, tra l’altro, nella Satira IV:
“O siami in Rocca o voglia a l’aria uscire,
accuse e liti sempre e gridi ascolto,
furti, omicidi, odi, vendette et ire”.
E ancora:
“…In somma ti confesso
che qui perduto ho il canto, il gioco e il riso”.
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