Il bosco: non raggiunto dalla guerra e dal suo tumulto, se non per qualche isolato duello di cavalieri, che s'incontrano e si scontrano per poi dileguarsi velocemente.
“Cominciâr quivi una crudel battaglia,
come a piè si trovâr, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi”.
(C. I, 17)
Attraverso il bosco fugge Angelica, in sella al suo cavallo:
“La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
né per la rara più che per la folta,
la più sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di sé tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia”.
(C. I, 13)
E nel bosco vagano i guerrieri, cercandola.
La selva di Ariosto è continuamente percorsa dai personaggi, in modo che incontri e fughe corrispondano all’intreccio creato dall’autore. I sentieri portano a un movimento non controllabile, a volte circolare, che fa spesso ritrovare i protagonisti al punto di partenza o privi del senso di direzione.
Il poeta accentua insomma il carattere del labirinto, trasformando la selva in metafora della realtà in preda al disordine e della pazzia dell’uomo che non sa dare un senso alla vita.
All’interno della selva c’è spazio anche per radure e rifugi, come la grotta amena, testimone dell’amore di Angelica e di Medoro, ma, nel contempo, anche causa della follia di Orlando:
“Varii gli effetti son, ma la pazzia
è tutt’una però che li fa uscire.
Gli è come una gran selva, ove la via
convien a forza, a chi vi va, fallire:
chi su, chi giù, chi qua, chi là travia”.
(C. XXIV, 2)
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