Il personaggio di Olimpia, contessa d’Olanda, fa tutt’uno nel poema ariostesco col tema delle armi da fuoco, ripudiate dal poeta che nostalgicamente vede in esse il tramonto delle virtù cavalleresche. È ancora, quella di Olimpia, una delicata storia d’amore che s’intreccia con un personaggio obliquo, tessitore di inganni.
Per fedeltà all’amato Bireno, la contessa rifiuta infatti di sposare Arbante, figlio di Cimosco re di Frisia; quest’ultimo, offeso, dichiara guerra all’Olanda e ne esce vincitore in virtù di un’arma fin allora sconosciuta, che ha un rumore come di tuono e un effetto devastante e mortale, capace com’è di trapassare le corazze e di colpire ingannevolmente da lontano: l’archibugio.
Costretta così a sposare Arbante, Olimpia lo uccide la prima notte di nozze e fugge. Ma Cimosco minaccia di togliere la vita a Bireno, fatto suo prigioniero, se la ragazza non si consegnerà a lui. Olimpia chiede allora ad Orlando di farsi garante dello scambio, perché, una volta che lei sia nelle mani di Cimosco, questi non rifiuti di liberare Bireno:
“…sì che quando io sarò uccisa,
morrò contenta, poi che la mia morte
avrà dato la vita al mio consorte”.
(C. IX, 54)
Orlando allora
“…le promise, e la sua fè le diede
che faria più di quel ch’ella gli chiede.
Non è sua intenzion ch’ella in man vada
del suo nimico per salvar Bireno:
ben salverà amendui, se la sua spada
e l’usato valor non gli vien meno”.
(C. IX, 57-58)
Orlando sfida a singolar tenzone Cimosco, che in spregio alle virtù cavalleresche non disdegna di ricorrere a tranelli pur di prevalere:
“D’una in altra via si leva ratto
di vista al paladin; ma indugia poco,
che torna con nuove armi; che s’ha fatto
portare intanto il cavo ferro e il fuoco:
e dietro un canto postosi di piatto,
l’attende, come il cacciator al loco,
coi cani armati e con lo spiedo, attende
il fier cingial che ruinoso scende”.
(C. IX, 73)
Ma neppure l’uso del tremendo archibugio serve a volgere lo scontro a suo favore: Cimosco viene ucciso e Olimpia può riabbracciare l’amato Bireno:
“Lungo sarebbe a ricontarvi quanto
lei Bireno accarezzi, ed ella lui;
quai grazie al conte rendano ambidui”.
(C. IX, 85)
testi: Aurelia Fresta e Fabrizio Anceschi
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